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L’accumulo elettrico è la nuova sfida del mercato dell’energia. I dispositivi di storage come le batterie agli ioni di litio, le piombo-acido, quelle redox-flow e a metallo liquido offrono allettanti promesse al settore, catalizzando quote crescenti di investimenti. Di contro però, tutte queste opzioni, in un modo o nell’altro, sono ancora lontane dal soddisfare le esigenze di stoccaggio della rete. L’impianto ideale dovrebbe accumulare molta energia in un piccolo volume e costare meno di 100 dollari per kWh per essere sostenibile su larga scala. E dovrebbe anche possedere una lunga vita.

Tutte le opzioni sopracitate però difettano in almeno uno di questi requisiti. La tecnologia al litio possiede, ad esempio, un’alta densità energetica (oltre 200 Wh/kg) ma ha prezzi ancora troppo alti. Stesso discorso per le batterie redox, sistemi peraltro molto ingombranti. I dispositivi al piombo sono invece economici ma durano solo 500 cicli e la densità energetica è scadente, difetto che si riscontra anche nelle nuove soluzioni “liquide”.

Un’alternativa agli approcci classici è offerta dalla nuova batteria manganese-idrogeno o, come è già stata ribattezzata dagli scienziati, la batteria a base d’acqua. A realizzarla è stato un gruppo di chimici che ha prodotto un prototipo costituito da un catodo in fibre di carbonio inserito all’interno di un cilindro di acciaio e arrotolato attorno ad un piccolo anodo in carbonio caricato di platino. Lo spazio tra i due elettrodi è riempito con una soluzione acquosa contenente solfato di manganese, un sale industriale economico.